La più grande biodiversità del pianeta
L’Amazzonia è una regione vasta, caratterizzata da una foresta pluviale; è la prima delle Nuove sette meraviglie del mondo naturali ed è chiamata il polmone verde del nostro Pianeta.
Con una superficie di 6 milioni di km2 suddivisa tra 9 Paesi, la foresta amazzonica è per estensione la seconda al mondo dopo la taiga russo-siberiana, ma ospita una biodiversità maggiore di qualsiasi altra foresta tropicale: circa 105.500 specie diverse tra invertebrati, pesci, uccelli, mammiferi, anfibi e rettili. Ogni anno in quest’area vengono scoperte moltissime nuove specie: un record si è avuto tra il 2014 e il 2015, quando ne sono state individuate più di 380. La foresta amazzonica rappresenta, più di ogni altro ecosistema, la casa della biosfera.
Nella lotta dell’uomo al cambiamento climatico, oceani e alberi giocano un ruolo fondamentale: essi sono alleati preziosi in grado di assorbire, rispettivamente, il 25% e il 29% dei gas serra che l’uomo produce.
L’appellativo di “polmone terrestre“ è dato alla foresta amazzonica, in quanto rappresenta circa il 60% di tutte le foreste pluviali tropicali mondiali. Grazie all’elevata densità della vegetazione, all’abbondanza di acqua a un grande irraggiamento del Sole, la foresta pluviale è in grado di consumare elevate quantità di anidride carbonica e di restituire ossigeno.
Da anni però la deforestazione colpisce quest’area senza sosta: dal 1970 a oggi si è ridotta del 20%, se parametriamo il dato alla nostra capacità polmonare è come se lo stato del pianeta fosse in COVID avanzato. Questo fenomeno ha influenzato la foresta, riducendone sempre di più l’efficienza, mettendo a rischio l’ecosistema e di conseguenza l’intero pianeta.
Le ragioni di stato, la guerra e le vittime
L’ultima amministrazione brasiliana, cui ha dato via l’insediamento del Presidente Bolsonaro nel 2019, non sembra avere a cuore il problema ambientale. Così come altri paesi “emergenti“ ma non solo, si pensi a Trump che rinnega gli accordi di Parigi, il Brasile fa prevalere gli aspetti di crescita economica sull’attenzione all’ambiente.
Il Brasile ha ridotto drasticamente l’applicazione di misure di tutela ambientale e così, dal 2019, la deforestazione brasiliana derivata da incendi e taglio di alberi è aumentata di 4 volte, arrivando ad un’area pari all’Olanda: 3,9 milioni di ettari rasi al suolo!
È ancora notizia di pochi giorni fa che il governo del paese sudamericano abbia presentato una mozione al Congresso per far cadere i vincoli di disboscamento della foresta pluviale nelle terre assegnate alle tribù indigene: tutto questo sembra architettato per favorire le lobby dell’agrobusiness.
La richiesta di indagini preliminari contro Bolsonaro per crimini contro l’umanità era già stata presentata al Tribunale Internazionale dell’Aia, a gennaio di quest’anno, da William Bourdon, avvocato francese in rappresentanza del leader indigeno Raoni Metuktire.
Le organizzazioni brasiliane per i diritti umani hanno sostenuto l’esposto contro il presidente Brasiliano per istigazione all’ecocidio e per crimini contro l’umanità .
Ecocidio deriva dalla parola greca oikos, casa, e dal verbo latino caedere, distruggere, uccidere. Letteralmente indica la distruzione della casa, ma oggi non esiste un giudice penale internazionale per i “diritti della Terra“!
Il termine evoca il genocidio.
L’impatto sull’ambiente di attività lecite, che danneggia e depaupera le risorse disponibili, è già punibile in base a disposizioni vigenti.
L’istanza di introdurre un nuovo crimine internazionale richiede un iter per individuare questa tipologia delittuosa. In passato il termine era già emerso in presenza di crimini di guerra e che accompagnavano espliciti attacchi all’ambiente, come nel caso del Vietnam. Oggi, grazie a iniziative istituzionali e movimenti di opinione, l’ecocidio è nuovamente al centro dell’interesse, ma il contesto è totalmente differente da quello originario: crisi climatica, aumento delle temperature, estensione dell’urbanizzazione a danno di aree naturali, CO2 e gas serra.
Un taglio ai numeri
L’ultimo studio internazionale di Nature Climate Change, pubblicato il 29 Aprile, dice che qualcosa non funziona più. Il polmone verde che ci ha sempre aiutato a ridurre il nostro impatto ambientale non ce la fa.
I dati dimostrano che la foresta non è più in grado di svolgere il ruolo che ha portato avanti per secoli: negli ultimi 10 anni ha emesso solo in Brasile il 20% in più di CO2 rispetto a quella che ha trasformato.
Dal 2010 al 2019 le emissioni di CO2 rilasciate a causa degli incendi e della deforestazione dell’area brasiliana sono state 16,6 miliardi di tonnellate contro le 13,9 assorbite durante la crescita della foresta. Jean-Pierre Wigneron, coautore della ricerca, ha affermato che “è la prima volta che abbiamo dati che mostrano che la situazione dell’Amazzonia brasiliana si è capovolta e ora è un vero emettitore netto di CO2“.
Il cambiamento climatico è alimentato dal degrado più che dal mero taglio: la conseguenza del disboscamento selvaggio fa sì che l’Amazzonia sia vittima di uno stress climatico che porta alla morte degli alberi più grandi, all’impoverimento della biomassa, alla degradazione della stessa e a fenomeni climatici che accentuano il problema. Il depauperamento degli alberi ha emesso negli ultimi 10 anni tre volte la quantità di CO2 rispetto alle normali pratiche di deforestazione per approvvigionamento di biomassa.
La sempre maggiore pressione cui è sottoposta l’Amazzonia a causa delle attività umane rischia di portarla a un punto di non ritorno: alcune aree più di altre sono già destinate al collasso se il tasso di deforestazione e gli incendi non dovessero variare nell’immediato futuro.
La foresta pluviale sta divenendo lentamente una savana: se non dovesse realizzarsi un’inversione di rotta per quanto riguarda il comportamento dell’uomo nei confronti della foresta amazzonica, entro 43 anni circa, la stessa diventerebbe una distesa arida senza possibilità di ripristinare l’ecosistema precedente. Le conseguenze sarebbero gravissime sia in termini di biodiversità , che di impatto sul riscaldamento globale, già ora in condizioni critiche. Tutto ciò è affermato in uno studio apparso sulla rivista scientifica Environment – Science and Policy for Sustainable Development, condotto da Robert Troovey Walker, che dà come termine il 2064.
Se la foresta è il polmone del mondo vuol dire che la nostra casa sta soffocando: forse è arrivato il momento per istituire l’ecocidio al pari del genocidio.