Oggi, 5 febbraio 2021 si celebra l’ottava Giornata Nazionale di Prevenzione dello spreco alimentare, organizzata dal Ministero dell’Ambiente in collaborazione con la campagna Spreco Zero e l’Università di Bologna – Distal.
Questa manifestazione serve ad aprirci gli occhi e a farci comprendere la grandezza del problema che abbiamo di fronte.
Il 26% dei prodotti alimentari di tutto il mondo viene sprecato e diventa rifiuto. Mentre noi deterioriamo gli ecosistemi ed esauriamo le risorse, 690 milioni di persone soffrono la fame.
Ogni anno utilizziamo un terzo della superficie agricola mondiale per produrre cibo che poi non consumiamo, questo si traduce in 3,3 miliardi di tonnellate di gas serra e perdite economiche per 750 miliardi di dollari. Per ogni mela coltivata inutilmente, ci troviamo ad avere a che fare con emissioni, rifiuti organici e pressioni sulle risorse idriche e sul territorio.
Il 54% degli sprechi alimentari si verifica prima ancora che i prodotti arrivino al mercato, mentre la restante parte deriva dalla loro trasformazione e distribuzione.
Noi consumatori generiamo 2,4 milioni di tonnellate di sprechi e più di 2 milioni e mezzo sono causati da attori economici.
Gli sprechi alimentari derivano da luoghi, momenti, ragioni e agenti diversi ma, dal momento in cui vogliamo disfarcene, hanno tutti lo stesso destino: diventare rifiuti con la conseguenza di inquinare, rilasciare emissioni, utilizzare risorse e avere un impatto negativo sul nostro mondo.
Ma noi, possiamo fare qualcosa? Possiamo ridurre la quantità di rifiuti e i loro impatti ambientali e sociali?
La prevenzione come soluzione
Il rifiuto è “qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi, o abbia l’intenzione o l’obbligo di disfarsi“. Ma spesso, quando si arriva al rifiuto, è già tardi per evitare gli impatti negativi.
L’Unione Europea, già a partire dal 2008, ha individuato all’interno della direttiva 2008/98/CE la gerarchia dei rifiuti, che prevede cinque fasi per la loro gestione, in ordine di priorità : prevenzione, riutilizzo, riciclaggio, recupero di altro tipo e smaltimento.
La nostra nuova parola d’ordine diventa, quindi, prevenzione, intervenire prima.
I rifiuti organici rappresentano il 40% della raccolta differenziata dei rifiuti urbani e provengono, per lo più, dallo spreco alimentare. Intervenire per ridurli è possibile. Tutti possiamo migliorare le nostre abitudini alimentari, i governi posso offrire incentivi per stimolare azioni contro gli sprechi e le aziende possono fare più attenzione durante l’approvvigionamento delle materie prime.
A volte tutto questo non basta. La necessità della ristorazione e della grande distribuzione di avere quantità sempre disponibili, unita alla deperibilità degli alimenti, rende inevitabile la produzione di scarti alimentari. La produzione di rifiuti è stata a lungo considerata come un inevitabile e imprescindibile sottoprodotto dell’attività economica. Grazie alla tecnologia moderna e a pratiche di gestione attente, la parola “inevitabile” può essere dimenticata.
Ecodyger
Ecodyger interviene a questo punto della filiera agroalimentare.
La tecnologia di Ecodyger opera nella fase di prevenzione, agendo sulla risorsa prima che diventi rifiuto, ottenendo un output di qualità e dandogli una seconda vita.
Il tradizionale conferimento dell’umido organico in discarica ne comporta la decomposizione e la conseguente generazione di biogas, composti da anidride carbonica e metano che, liberati in atmosfera, rappresentano gas serra altamente inquinanti. L’uso di Ecodyger, confrontato con questo scenario, permette di avere fino all’80% di emissioni in meno.
Ecodyger  interviene prima del rifiuto, crea un output stabile e fruibile nel tempo e apre le strade a progetti di economia circolare.
Fonti: FAO