Negli ultimi anni, il cambiamento climatico è diventato un fenomeno sempre più presente, pesante e pressante nel nostro mondo.
Qualche anno fa, i segnali del disastro ambientale cui stavamo andando incontro erano sporadici, occasionali e per questo furono ignorati e sottovalutati: le alluvioni altro non erano che sfortune, le inondazioni fenomeni inaspettati e imprevedibili. Recentemente però, le manifestazioni climatiche sono diventate sempre più frequenti: le eccezioni atmosferiche sono la normalità , le piogge torrenziali un’abitudine e gli incendi una consuetudine.
Il cambiamento climatico è uno dei maggiori problemi che dobbiamo affrontare: lo abbiamo capito. È il momento di agire: siamo in ritardo di fronte a cambiamenti forse già irreversibili.
Per poter procedere, è necessario comprendere gli impatti che derivano dal cambiamento climatico, ossia gli effetti sui sistemi naturali e umani causati da eventi meteorologici e climatici estremi e dai cambiamenti climatici che si verificano entro un periodo di tempo specifico (definizione fornita da Intergovernmental Panel on Climate Change).
Il rapporto sugli indicatori di impatto dei cambiamenti climatici, emesso dal Sistema Nazionale di Protezione Ambientale (SNPA), dimostra che l’Italia è in prima linea nel monitoraggio dei cambiamenti e nel tentativo di porvi rimedio.
Il SPNA, esistente dal 2017, sostituisce il Sistema delle Agenzie Ambientali e raccoglie in una nuova identità le 21 Agenzie Regionali (ARPA) e Provinciali (APPA) oltre a ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale).
Il primo rapporto sugli impatti del cambiamento climatico
Il Consiglio SNPA ha attivato un gruppo di lavoro, coordinato da ISPRA e composto da 18 tecnici opportunamente aiutati da altri esperti, al fine di definire un set di indicatori di impatto dei cambiamenti climatici a livello regionale e nazionale.
Attraverso questa analisi, gli studiosi hanno l’obiettivo di dare supporto alle politiche territoriali e ai processi decisionali di pianificazione e implementazione di misure di adattamento e al loro monitoraggio nel tempo.
Il rapporto individua e mette a sistema, per la prima volta in Italia, gli indicatori disponibili a livello nazionale e regionale relativi ai possibili impatti dei cambiamenti climatici sulle risorse naturali e sui settori socio-economici del Paese.
In questo modo garantisce una migliore conoscenza delle conseguenze delle manifestazioni climatiche, un’adeguata informazione, comunicazione e consapevolezza di questo settore.
Gli indicatori individuati sono 50, suddivisi fra Indicatori di livello nazionale (20) e Casi pilota regionali (30) riferiti a 13 settori vulnerabili, che coinvolgono i sistemi nazionali naturali, sociali ed economici.
I risultati dello studio sono stati pubblicati nel rapporto, di più di 200 pagine, sugli impatti dei cambiamenti climatici.
Il quadro che emerge mette in evidenza alcuni segnali, relativamente allo stato di salute del nostro Paese, già riconducibili ai cambiamenti climatici, tuttavia non può essere considerato definitivo in quanto evidenzia tendenze non ancora statisticamente significative e definibili, che dovranno essere oggetto di un prosieguo di attività .
L’intensità e la durata dei cambiamenti climatici mettono a rischio la salute degli ecosistemi, la disponibilità delle risorse naturali, l’economia che ne deriva e gli impatti sociali conseguenti: “effetti sui sistemi naturali e umani”.
Lo studio prende in considerazione sei corpi glaciali italiani, per i quali è stata registrata una generale tendenza alla fusione con una perdita costante di massa coerente con quanto registrato nelle Alpi e, più in generale, a scala globale.
L’analisi del periodo 1995-2019 evidenzia perdite significative che ammontano da un minimo di 19 metri  di acqua equivalente (ghiacciaio di Basodino) a un massimo di 41 (ghiacciaio di Careser) e le cause sono da ritrovarsi nell’effetto combinato delle elevate temperature estive e della riduzione delle precipitazioni invernali. Le conseguenze dello scioglimento dei ghiacciai si ritrovano in campi diversi: questo fenomeno influenza l’approvvigionamento di acqua dolce, la produzione di energia elettrica e i settori agricolo e industriale.
Poco più a sud le variazioni annue della temperatura superficiale del mare mostrano incrementi in tutti i mari italiani, mentre il livello delle acque subisce variazioni che, seppur lente e non notabili dall’uomo nel breve periodo, sono fonte di preoccupazione per gli impatti che l’innalzamento avrà sulla costa.
La popolazione marina viene influenzata da questa situazione: cambia la distribuzione delle specie ittiche e di conseguenza, l’attività di pesca.
Se pensiamo che la pesca nel Mediterraneo ha un fatturato di 12 miliardi di dollari e una forza lavoro di oltre un milione di addetti ci rendiamo conto anche dell’impatto sociale che possono comportare i cambiamenti climatici: la pesca rappresenta un settore chiave nell’economia dei paesi mediterranei. La produzione di pesce ammonta a 1,2 milioni di tonnellate annue (di cui il 39% nei mari intorno all’Italia), opera di una flotta che conta quasi 100.000 imbarcazioni, il 70% delle quali ha più di 30 anni. L’acquacoltura produce oltre 2 milioni di tonnellate annue in 35.000 stabilimenti produttivi a terra e in mare.
Non possiamo, però, fermarci alla pesca: altri elementi analizzati nel rapporto sono le risorse idriche alpine e quindi l’agricoltura, il suo fatturato e i suoi addetti, il patrimonio culturale e l’energia. Tutti fattori di criticità ambientale e socio-economiche.
La parte conclusiva del rapporto presenta una serie di esempi di come gli indicatori siano stati tradotti in misure efficaci e implementati con successo a livello locale per far fronte agli effetti dei cambiamenti climatici.
Leggi lo studio completo qui.