C’è chi lo ama e chi lo odia: negli ultimi mesi lo smart working si è fatto spazio prepotentemente nelle nostre vite. Mentre dalle nostre porte arrivavano preoccupazioni diverse e più gravi, il lavoro da remoto è entrato dalle finestre, diventando un’abitudine senza che ce ne rendessimo conto.
Non possiamo negarlo, ognuno di noi ha amato il nuovo outfit da riunione “giacca-cravatta-pantaloni della tuta“ e la possibilità di scordarsi del traffico. Non possiamo però ignorare gli svantaggi che ne sono derivati, come il mal di schiena per la mancanza di postazioni ergonomiche, o la difficoltà a relazionarsi con i colleghi.
Lo smart working è una medaglia a due facce e, come detto prima, c’è chi lo odia e chi lo ama.
Il primo ad amarlo è l’ambiente che, come riporta lo Studio Homeworking, grazie al lavoro da remoto ha visto un significativo abbassamento delle emissioni di CO2 in Europa.
Introduzione allo Studio: di cosa si parla?
Lo Studio Homeworking è stato condotto da Carbon Trust, un’Associazione non a scopo di lucro istituita nel 2001 per aiutare le organizzazioni a ridurre il proprio impatto ambientale. Il Vodafone Institute for Society and Communication, committente del report, ha voluto analizzare l’abbattimento delle emissioni di CO2 nel mondo del lavoro durante e dopo la crisi pandemica. Le aree prese in considerazione sono state Italia, Germania, Repubblica Ceca, Svezia, Spagna e Regno Unito.
Per analizzare al meglio l’impatto del lavoro da remoto sull’inquinamento da CO2, lo studio ha preso in considerazione diversi momenti che hanno risentito della variazione delle emissioni, fra i quali ci sono gli spostamenti casa-ufficio, comprendendo mezzi pubblici e privati, i consumi di energia in ambito domestico e quelli derivanti dagli uffici.
Escluse dall’analisi sono le informazioni connesse al trasferimento di dati su internet, considerato una fonte di consumo energetico e di generazione di CO2 meno rilevante.
I risultati dello Studio: che cosa è successo?
Lo smart working ha permesso, durante il periodo di pandemia, una riduzione netta delle emissioni di CO2 nei Paesi studiati: i vantaggi portati dalla riduzione degli spostamenti e dagli uffici chiusi hanno largamente compensato l’aumento di biossido di carbonio dovuto ai maggiori consumi domestici.
Fra i Paesi considerati, l’Italia è quello che nei mesi scorsi ha risparmiato più CO2: i lavoratori da remoto sono stati, nella fase acuta di emergenza, 6,58 milioni, ognuno dei quali, in media, ha attuato lo smart working per 2,7 giorni a settimana. La chiusura degli uffici ha permesso di ridurre le emissioni a essi connesse di 1988 kg annui per lavoratore, mentre l’inquinamento dovuto agli spostamenti ha visto una riduzione di 215 kg a persona.
In media, ogni smart worker ha ridotto le sue emissioni di 1861 kg in un anno.
Fra i paesi oggetto dello studio l’Italia è quello che, relativamente alle emissioni degli edifici, ha ottenuto i risultati migliori: questo mette in evidenza un deficit nell’efficienza energetica degli stessi. Il nostro Paese, ad esempio, ha avuto un risparmio molto più consistente rispetto alla Svezia, la quale dispone di edifici già sostenibili, la cui chiusura non causa differenze troppo elevate in termini di inquinamento. Il Paese scandinavo utilizza, per il riscaldamento, per lo più fonti a basse emissioni; al contrario, la dipendenza dell’Italia da derivati del petrolio diminuisce l’efficienza delle strutture.
Proiezioni future: cosa succederà ?
Il report si conclude con alcune previsioni future sulla quantità di emissioni che si potranno risparmiare, nel periodo post-covid dal 2022, grazie a un maggiore impiego dello smart working. Secondo lo studio, la pandemia ha avuto sul lavoro da remoto un impatto profondo e duraturo che difficilmente si concluderà con la stessa: le persone si sono ormai abituate a un nuovo modo di lavorare, che improbabilmente verrà abbandonato e anzi, rimarrà una componente importante delle nostre abitudini.
Su questa base, lo studio afferma che il lavoro sarà ibrido, composto da giorni in ufficio e circa 2 da remoto per ogni lavoratore. In questo scenario sarà la Germania ad avere il maggiore potenziale per ridurre le emissioni, grazie all’elevato numero di occupati nel Paese, di cui il 39% potrà ricorrere allo smart working.
Anche l’Italia potrà ricoprire un ruolo importante: avrà la possibilità di risparmiare fino a 8,7 megatonnellate di Co2 equivalente all’anno, che si potrebbero tradurre in 60 milioni di voli in meno da Londra a Berlino!
Commento dell’Associate Director
Riportiamo infine il commento di Andie Stephens, Associate Director Carbon Trust: “Il rapporto mostra che mentre il lavoro da casa offre un grande potenziale per il risparmio di carbonio, è importante comprendere le sfumature regionali e i modelli di lavoro e identificare le inefficienze che aumentano i consumi al fine di creare scenari di risparmio effettivi. Per realizzare pienamente i benefici ambientali a lungo termine di un aumento dei modelli di lavoro ibridi in futuro, dobbiamo assicurarci di adottare approcci diversi anche fuori casa. In caso contrario, gli uffici che operano a piena domanda di energia pur essendo occupati solo a metà o i sistemi di trasporto che non sono in grado di rispondere all’evoluzione della domanda potrebbero portare a un aumento complessivo delle emissioni di CO2 equivalente“.